Il Valore Morale della Memoria

 

Alla Commissione Comunale

 per il Cimitero delle Vittime di Fortogna

 

IL CIMITERO DELLE VITTIME DEL VAJONT

Linee guida del progetto di ristrutturazione

di Giuseppe Capraro

Il disastro del Vajont segna una svolta radicale nella vita della valle di Longarone: paesi distrutti, comunicazioni spazzate via, economia frantumata, cultura stravolta. I danni materiali e morali sono immensi. Duemila persone vedono stroncata in un attimo la loro vita. Delle poche decine di feriti, alcuni muoiono nei giorni successivi al 9 ottobre 1963, data sciagurata del grande Evento. Solo pochi si salvano. I superstiti sono qualche centinaio, ciascuno con il suo dramma; i più sono rimasti in vita per una circostanza fortuita.

Le forze di soccorso si allertano subito, mentre è stata del tutto disattesa la prevenzione. Anzi proprio da quanto avviene in questa tremenda circostanza nasce nell'intero Paese l'esigenza di un'autentica protezione civile, che non si limiti ad interventi successivi, bensì sia attrezzata a prevenire le disgrazie con tempestività ed efficacia. Il monito del Vajont, così si incomincia a qualificare l'Evento calamitoso, sta anche in questo sussulto della coscienza civile e della responsabilità politica di fronte alle catastrofi, che ormai non si possono più definire naturali, perché in esse è sempre coinvolto l'intervento umano in modo più o meno palese. Proprio per questo non si deve dimenticare quanto è avvenuto la notte di mercoledì 9 ottobre 1963.

Un monumento alla pietà e alla memoria perenne dell'Evento è il cimitero delle vittime di Fortogna: giovedì 10 ottobre se ne decide la realizzazione; venerdì 11 viene individuata l'area tra i campi di granoturco davanti al cimitero parrocchiale; sabato 12, alle ore 18, è benedetto lo spazio sacro e domenica 13 si iniziano le inumazioni. Le salme arrivano dai vari cimiteri della valle del Piave, da Pieve di Cadore a Mel, dove sono state raccolte e composte nelle bare.

Il lento corteo degli automezzi, anche pesanti, che le trasportano forma una fila interminabile. Prima della sepoltura sono deposte in ordine sul terreno per una pulizia decorosa dei corpi esangui, a volte mutilati, e per quel trattamento legale, che garantisce una conservazione più lunga possibile per consentire a parenti e superstiti il riconoscimento. Intanto si scavano delle enormi fosse dove vengono poi allineate le bare una accanto all'altra, dopo che un sacerdote le ha benedette una ad una. Ogni vittima ha quindi il suo funerale religioso, anche quelle che non hanno un nome.

Per facilitare l'attribuzione delle salme alle persone, date per disperse, viene aperto un ufficio a Belluno con le foto delle vittime, scattate da varie angolature, che rimane aperto fino alla primavera del 1964. Molti defunti possono così essere riconosciuti, anche dopo la loro sepoltura, grazie ad un registro dettagliato della loro disposizione nelle fosse del cimitero. E' questo documento che va recuperato in vista della ristrutturazione dell'intera area funebre, perché costituisce il punto di partenza per collegare le croci esterne con le salme sepolte.

Al presente le croci di Fortogna sono 1528. Ad esse vanno aggiunte quelle di mons. Gioacchino Muccin, vescovo di Feltre e Belluno, che nel suo testamento ha chiesto di riposare nel cimitero delle vittime del Vajont e vi fu sepolto nel 1991, e di Gianfranco Trevisan, medico condotto di Longarone al tempo del disastro, che perì tragicamente nell'alluvione del 1966 mentre compiva il suo dovere. Non tutte le croci hanno un nome. Sono 783 quelle prive di un segno di riconoscimento, ma non è da escludere che alcune salme abbiano ricevuto un'identificazione senza che poi nessuno l'abbia riportata all'esterno con una lapide o con una semplice etichetta sulla croce corrispondente. Infatti sia sul campo di Fortogna sia nell'ufficio di Belluno l’identificazione poteva essere fatta da chiunque e veniva registrata da un pubblico Ufficiale su un modulo apposito.

Meno della metà, e cioè 745, sono invece le croci con un nome o con una lapide che ricorda anche altri familiari o parenti scomparsi nel Vajont e mai identificati. Non è possibile definire con certezza il numero esatto delle vittime del Vajont. Ne sono stati fatti diversi elenchi, ciascuno con vistosi errori. L'ultimo in ordine di tempo, il più completo e corretto è quello fissato su bronzo nel museo "Pietre vive" della chiesa di Longarone. Esso raccoglie 1909 nominativi, che sono suddivisi e ordinati in 772 nuclei familiari.

E' evidente che si tratta di una stima per difetto, perché la sera del 9 ottobre 1963 erano certamente in visita o in transito per Longarone persone estranee e sconosciute, che per disavventura hanno avuto la stessa drammatica sorte dei residenti abituali. Vanno poi aggiunte le vittime di Erto e Casso e del cantiere della diga, che per prime vennero spazzate via dall'acqua omicida. Il cimitero del Vajont non può non far memoria anche di loro. Come pure vanno ricordati i due militari scomparsi nelle operazioni di soccorso, un alpino e un capitano pilota, che sono peraltro ricordati già oggi con una lapide nel cimitero di Fortogna. Se finora esso custodisce le salme raccolte nella valle del Piave, in prevalenza appartenenti a persone dei comuni di Longarone e di Castellavazzo, la sua ristrutturazione consentirà di renderlo idoneo a fare memoria di tutte le vittime e di trasformarsi così in un monumento del disastro considerato nella sua globalità, come lo sono il manufatto della diga davanti alla frana immane nella valle del Vajont e la chiesa di Longarone, calvario della morte innocente e tomba vuota del Cristo risorto, spazio di vita e speranza di ricostruzione.

Il valore morale della memoria

Porre un segno concreto di un Evento avvenuto anni fa e che tende a perdersi nei meandri del passato è un impegno civile per quanti hanno a cuore le sorti della loro comunità di appartenenza e delle generazioni future, di fronte alle quali siamo tutti responsabili. Se la sepoltura dei defunti è un atto di pietà nei loro confronti e un segno concreto della fede in una esistenza altra, che si estende verso orizzonti trascendenti, il tenerne viva la memoria arricchisce l’esperienza di quanti hanno ricevuto da loro gli elementi fondamentali dell’esistenza umana, fisica, culturale, sociale e spirituale.

Nel caso del Vajont c’è un motivo in più per salvaguardare quanto ci ricordano le vittime, perché si tratta di persone innocenti, scomparse in un disastro dovuto alla responsabilità dell’uomo, che non ha rispettato i ritmi secolari della natura e ha voluto invece sfruttarla in modo dissennato per meschini interessi materiali. E’ quindi un dovere morale custodire al meglio lo spazio sacro, in cui riposano le salme degli scomparsi, per ricordare a tutti che la vita umana va salvaguardata in ogni circostanza ed è il bene più prezioso, di cui siamo dotati.

In un mondo frastornato da messaggi effimeri e superficiali, è indispensabile dare voce alle vittime del Vajont, il cui sacrificio fa riflettere e meditare sul senso dell’esistenza e sulle migliori modalità di viverla. Il richiamo ai valori perenni che viene dal cimitero di Fortogna è una risorsa culturale da non sciupare. La sua ristrutturazione consentirà di evidenziare in modo più congruo e adeguato l’alto valore religioso e morale di cui è portatore. Esso è chiamato a diventare non solo un luogo di devozione per i defunti, ma anche un’area di riposo spirituale per i vivi, che possono trovare in esso spazi attrezzati per la riflessione e la meditazione. Una sosta in un’area così densa di significato come il cimitero delle vittime del Vajont consente di affrontare gli impegni quotidiani con un’energia nuova, più pura e più ricca.

E’ prevista, accanto all’attuale cappella, la definizione di una sala museale, in cui verranno raccontati i momenti più significativi della storia del cimitero, tra cui spicca certamente la visita di Giovanni Paolo II, e quanto ha segnato fin qui la sua configurazione. Per questo saranno catalogate e trascritte tutte le lapidi, singole e collettive, con o senza foto, in modo da salvaguardare i legittimi affetti di parenti e amici. Altri spazi, idonei alla riflessione e ad una sosta silenziosa, saranno predisposti nelle adiacenze dei cippi funerari per creare un’area protettiva attorno ad essi e così consentire ai visitatori un impatto mediato e progressivo al luogo propriamente dedicato alla sepoltura.

Non è il caso di lesinare sul perimetro dell’area interessata al cimitero del Vajont. E’ vero che le soluzioni potrebbero essere diverse e prevedere magari dimensioni ridotte, come un cilindro centrale con piccoli loculi incastonati in esso. Giacché il dovere della memoria e della riflessione prevale su altre considerazioni logistiche, è opportuno che lo spazio sia tale da consentire, anche visivamente, la percezione delle dimensioni della tragedia. Il valore simbolico di un manufatto è infatti affidato in modo prevalente alla sua articolazione geografica e alla sua struttura architettonica.

La dimensione comunitaria della tragedia

L’originalità del cimitero di Fortogna sta proprio nel custodire le salme di chi ha perso la vita nella tragedia del Vajont o, nei quattro casi ricordati sopra, di chi ha avuto uno stretto legame con essa. Non tutte le vittime vi sono sepolte. Dalla differenza tra l’elenco degli scomparsi e le croci attuali risulta che 381 corpi hanno trovato riposo altrove. In qualche cimitero della zona, tra cui quello di Belluno, c’è l’angolo dei defunti del Vajont. Altri sono stati trasportati più lontano, come è il caso delle cinque suore della scuola materna di Longarone, le cui salme riposano nel camposanto della loro congregazione a Castelletto del Garda (Verona).

E’ giunta l’ora di riunificare la memoria anche fisica di tutte le vittime in modo che quello di Fortogna sia davvero il cimitero del Vajont e non solo di quelli già sepolti, pur essendo essi la grande maggioranza. Quanti hanno avuto la stessa sorte tragica sono uniti da vincoli simbolici di tale spessore che li costituiscono in comunità reale. Ciascuno di loro ha una famiglia e una parentela, che si sono espresse nei vari segni di riconoscimento e di affetto posti accanto alla croce nel caso dell’avvenuta identificazione. Ora questi segni, come detto, vengono salvaguardati, ma è pur vero che con il passare del tempo, al di là del deterioramento materiale di lapidi e tombe, tendono a venir meno anche i vincoli affettivi, se non altro per la progressiva scomparsa dei parenti superstiti. A questo punto, per non perdere la memoria, va sottolineato in modo più esplicito il legame comunitario che affratella tutte le vittime del Vajont. Per il credente esso si concretizza nella famiglia dei figli e delle figlie di Dio, che vivono nella sua casa, il paradiso.

Ricordare ogni vittima con un cippo su cui è scolpita una croce, come è previsto nel progetto, non significa appiattire nell’anonimato il cimitero di Fortogna, ma esaltare quella che in termini cristiani si definisce la comunione dei santi e in termini profani la dimensione comunitaria della tragedia. E’ evidente che i cippi dovranno essere tanti quante sono le vittime accertate, almeno 1909, mentre si lascia alla scelta dei parenti la possibilità di trasferire a Fortogna i resti dei loro defunti sepolti in altre località. Già ora si dà il caso di due tombe senza salme. Sono quelle di mons. Bortolo Larese e di don Lorenzo Larese, entrambi scomparsi nel Vajont, una a destra e l’altra a sinistra di quella del vescovo Muccin, mentre i loro corpi riposano nel cimitero di Auronzo.

Nell’attribuire i cippi alle vittime verrà rispettato l’ordine esistente per quanto riguarda quelle identificate esplicitamente attraverso foto o lapidi; quindi si prenderà atto di altri eventuali riconoscimenti dal registro originario delle sepolture; infine si procederà secondo un criterio ordinato, come potrebbe essere quello dei legami familiari e di parentela, fino all’esaurimento dell’elenco completo. Sarebbe inoltre opportuno che si riservasse un cippo per ricordare i defunti, di cui è impossibile ricostruire le generalità. Nella sala museale è prevista l’installazione dell’elenco informatizzato di tutte le vittime per consentire di risalire ai dati anagrafici reperibili di ciascuna, arricchiti magari da informazioni ulteriori, e soprattutto per individuare il luogo esatto dove se ne fa memoria nel cimitero di Fortogna attraverso il suo cippo sepolcrale. Per alcune esso coincide con la sepoltura reale, per altre con quella attribuita. Nel caso poi si tratti di salme sepolte altrove, sarà indicata anche la località dove si trovano.

In tal modo ogni visitatore avrà l’opportunità non solo di percepire la dimensione immane della tragedia, ma di sentirsi coinvolto emotivamente nell’affetto per gli scomparsi, che sarà indotto a considerare come gente sua. Del resto il disastro del Vajont non riguarda solo la piccola schiera di superstiti, che l’hanno vissuto in prima persona, ma è un patrimonio universale di sofferenze, di sacrifici, ma anche si riscatto e di ricostruzione, che appartiene alla storia e alla cultura di tutta l’Italia e, perché no, del mondo intero. Se è vero che la frana del Vajont è studiata dalla società internazionale dei geologi e da altri scienziati per capirne l’origine e la dinamica, non è pensabile limitare e circoscrivere l’attenzione e la riverenza nei confronti dei suoi effetti catastrofici e delle vittime che ha mietuto.

Il degrado fisico di cui soffre oggi il cimitero di Fortogna, a oltre trent’anni dalla sua costruzione, e che impone un intervento di ristrutturazione per garantire all’area sacra dignità e decoro, deve diventare una preziosa occasione da non perdere per collocarlo nella sua valenza di luogo della memoria e della comunità: spazio indispensabile affinché la lezione del Vajont continui ad essere annunciata dal silenzio delle vittime nella speranza, anzi nella certezza che essa troverà sempre cuori aperti ad accoglierla.

Longarone, 8 gennaio 1997

Giuseppe Capraro