Poesie 
     

Quando l'anima č stanca e troppo sola

e il cuor non basta a farle compagnia,

si tornerebbe discoli per via,

si tornerebbe scolaretti a scuola

             M. Moretti

 

 
 
San Martino del Carso

 

Di queste case

non č rimasto

che qualche

brandello di muro

 

Di tanti

che mi corrispondevano

non č rimasto

neppure tanto

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

 

E' il mio cuore

il paese piů straziato

Giuseppe Ungaretti

 
   

"Mi son kučl pupo"

 

Marco Bisčta, dit al manapreti

dopo na vita pična de kaprizi,

al more insičme a tuti i so difeti

lasando in tera solo ke stravizi.

 

E l e kusě sikůr de la so strada

ke inveze de pasŕr da l Padreterno

da solo al capa gusta la kontrada

ke mena dreta, dreta par l inferno.

 

L a mes an pič romŕi te l kalierňn,

kuaŕndo ke l sent tirŕr par la gaketa;

e su par ŕria, kome da n trombňn,

na voz ke ziga: "Fčrmete, Bisčta!"

 

Marco l se ferma, al vol na spiegaziňn,

ma no l fa temp de dirte na parola,

ke inveze de kaskŕr te l kalierňn

al vičn mandŕ tra i angioli ke svola.

 

An pupo grant kusě, tutu biňndo e nudo,

lo porta par na man ten kantončt,

lo fa sentar su n trono de veludo

e po l ge tičn sta sort de diskorsčt:

 

- Marco, mi son kučl pupo ke da l Piŕve,

in kučla trista not de la brentana,

l e sta butŕ de kolpo te le grave,

lontŕn da so papŕ, da la so mama;

 

Butŕ lontŕn da kučl tokčt de mondo

dove, da pok, kontčnt, l avča inparŕ

solo a zogŕr ko i tati al girotondo,

solo a camŕr la mama, l so papŕ;

 

Butŕ lontŕn da le kareze e basi,

senza pinoci, senza na trombeta,

senza sentěr mai pi: "Fa nana, tasi..."

Butŕ lontŕn da l kalt de na kuneta.

 

Te se sta ti, lo satu o no Biseta,

a sistemarlo alora te n letěn

serŕ pulito drento na gaketa,

kome a skaldarge nkora l petesěn;

 

Te se stat ti, ko l kor in rebaltňn,

al Padreterno, varda ke lo sa,

a rezitarge dopo n oraziňn

de kučle ke t avča desmentegŕ.

Ugo Neri

 

A ricordo della tragica notte del 9 ottobre 1963


 

Uomo del mio Tempo

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

- t'ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura, T'ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

quando un fratello disse all'altro fratello:

"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,

č giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore

Salvatore Quasimodo

 

   
 
(Felicitŕ raggiunta, si cammina)

 

Felicitŕ raggiunta, si cammina

per te su fil di lama.

Agli occhi sei barlume che vacilla,

al piede, teso ghiaccio che s'incrina;

e dunque non ti tocchi chi piů t'ama.

 

Se giungi sulle anime invase

di tristezza e le schiari, il tuo mattino

č dolce e turbatore come i nidi delle cimase.

Ma nulla paga il pianto del bambino

a cui fugge il pallone tra le case.

 

Eugenio Montale

 
   

“Poco sapere…”

Poco sapere, ma molto gioire

Ai mortali č dato,

Perché, o bel Sole, non mi basta,

O fiore dei miei fiori, nel giorno di maggio,

Dire il tuo nome? So nulla di piů alto?

Quanto preferirei essere come i fanciulli!

E, come gli usignoli, un canto senza pena

Della mia dolce felicitŕ cantare.

 

Friedrich Hňlderlin


L'Infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell'ultimo orizzonte il grado esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di lŕ quella, e sovrumani

Silenze e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Cosě tra questa

Immensitŕ s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'č dolce in questo mare.

 

Giacomo Leopardi

 
   
 

Piéro l anárkiko

A la matina pena deśmisiá

ko l’ očo ke inpromete na bufera

al tira in bal giustíżia e libertá,

sacramentando i sióri de sta tera.

 

L e da sperár ke dopo par la strada

no l ábie da katár par kaśo an prete,

se no par tuta kuánta la zornada

te sente porki, fúlmini, saéte!

 

Piéro, tra l'altro, l e n bastián kontrário:

kuél ke l e biánk par lu diventa nero,

e kontradirlo? … Ieśu ke rośário….!

Per ńent al se la čol ko l mondo intiéro.

E l e kusí bastián, parlón pianín,

ke sot Nadál, da noi te l Castionese,

prňprio sto amigo, dit al “ Parğín”,

al fa l pi bil preśčpio de l paéśe;

E l met Gesú Bambín kusí pulito,

ke la Madona, súubito komosa,

sugándose n očét ko l so vestito,

la intona pián pianín “Bandiera rossa”.

 

Ugo Neri

 
   

Solo una cosa vorrei:

stringere fra le mie braccia,

stretta al mio povero cuore,

la piccola bimba che porta

il nome della Vittoria,

e dire senza parole

che sono tornato per lei.

Dammi o Signore la forza

di compiere gli ultimi passi.

Fŕ che raggiunga la porta

dove mi attende la sposa.

 

 

tenente Italo Stagno 

Unico degli "Ultimi 28" a non rivedere l'Italia, scrisse questa poesia nel lager, poco prima di morire. Il sottotenenete Enrico Reginato la imparň a memoria per non farla sequestrare dai russi e farla conoscere in Italia.